Crisi climatica e del lavoro, la transizione possibile
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LAVORO
Crisi climatica e del lavoro, la transizione possibile

AMBIENTE. La conversione ecologica ha bisogno della partecipazione convinta di un grande numero di cittadine e cittadini, lavoratori e lavoratrici; ma soprattutto di conoscenze ricavate dall’esperienza diretta di chi vive e lavora nei territori e nelle imprese da riconvertire.
Pubblicato circa 7 ore faEdizione del 23 settembre
2022
Guido Viale
La recente conferenza internazionale sulla decrescita Venezia 2022 ha mostrato che nel corso degli ultimi anni, anche senza che nessuno la perseguisse esplicitamente, si è di fatto verificata una convergenza tra visioni e prospettive di una società futura che fino a poco tempo fa sembravano distanti o addirittura alternative: quelle che rispondono ai termini decrescita, ecosocialismo, ecofemminismo, società della cura, giustizia sociale e ambientale, conversione
ecologica.
PUR MANTENENDO ciascuna un focus specifico, le unisce il ripudio di qualsiasi prospettiva fondata sulla crescita (dei Pil), l’accumulazione del capitale, il produttivismo, l’estrattivismo, lo sfruttamento sia degli esseri umani che del vivente, le diseguaglianze sociali e il patriarcato; e, in positivo, una prospettiva fondata su decentramento e partecipazione alla gestione dei processi produttivi e dei rapporti sociali e un orientamento improntato alla sobrietà nei consumi e
all’arricchimento delle relazioni. Il problema irrisolto, sia a livello teorico che pratico, è come far vivere, crescere e maturare queste visioni all’interno sia delle lotte in corso contro lo sfruttamento del lavoro e dell’ambiente sia delle molteplici iniziative «molecolari» di riorganizzazione della vita e dei consumi in contesti di condivisione.
A CONNETTERE QUESTI POLI è la necessità e l’urgenza di affrontare la crisi climatica e ambientale già in pieno corso e destinata ad
aggravarsi; in sintesi, la conversione ecologica dell’apparato produttivo, delle relazioni sociali e degli assetti istituzionali. Una «transizione» possibile – ormai ce ne sono le prove – solo se promossa «dal basso», cioè partecipata da una popolazione che si costituisce in comunità, e non affidata solo a misure governative varate dall’«alto», sempre tardive, parziali, discriminanti, incapaci di abbandonare il paradigma della crescita. Solo comunità del genere saranno in grado
di affrontare l’adattamento alle difficili condizioni a cui la crisi climatica e ambientale costringerà le prossime generazioni, già a partire da quella di chi è giovane oggi.
LA CONVERSIONE ECOLOGICA ha bisogno della partecipazione convinta di un grande numero – non necessariamente la maggioranza – di cittadine e cittadini, lavoratori e lavoratrici; ma soprattutto di conoscenze ricavate dall’esperienza diretta di chi vive e lavora nei territori e nelle imprese da riconvertire;
aziende esposte al rischio di chiusura, delocalizzazione, ridimensionamento.